Il 35% degli atleti in attività soffre del “male di vivere”. Ma c’è una speranza…

Di Santo Rullo

Roma, 13 Ottobre 2015 (ZENIT.org)

Nella settimana della giornata Mondiale per la Salute Mentale (sabato 10 ottobre) i quotidiani sportivi hanno riportato, forse casualmente, un dato del sindacato mondiale dei calciatori apparentemente allarmante: un calciatore su tre soffre di depressione.

Il dato numerico parla del 38% di ex calciatori e del 35% di calciatori in attività sofferenti di sintomi depressivi ed ansiosi rilevanti, il 23% in associazione con disturbi del sonno ed il 28% con abuso di alcol (fortunatamente solo l'8% di quelli attualmente in campo). Questi dati sono raccolti in paesi diversi dall’Italia, ma sono fortemente rappresentativi di una realtà comune a tutto il mondo, tanto nel calcio quanto al di fuori. 

La depressione colpisce nel mondo 125 milioni di persone, condizionandone la capacità di lavoro e di relazione. Nella sua forma più grave può portare al suicidio ed è responsabile di 850.000 morti ogni anno.

Il 15% dei soggetti che vivono nei paesi ricchi ha probabilmente sofferto di depressione nella loro vita contro l'11% degli abitanti dei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo. La percentuale di chi ha riferito un episodio di depressione nell'ultimo anno è del 5,5 %. In Francia, nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti, la percentuale arriva al 30%.

I dati ci dicono quindi che la depressione non guarda in faccia a nessuno e non risparmia il calciatore, malgrado nella sua immagine stereotipa ci appaia bello, felice, ricco, idolatrato. La realtà è quindi diversa da ciò che si possa pensare. La depressione colpisce indistintamente tutti coloro che, impegnando le proprie risorse psicofisiche, si ritrovino ad esaurirle. Le cause possono essere addebitate ad un eccesso di stress emotivo o ad una particolare sensibilità individuale. Spesso i sintomi di esaurimento delle energie mentali si accompagnano ad un segno d'allarme, l'ansia, che segnala in anticipo ed in maniera soggettivamente amplificata la condizione di disagio e di potenziale debito di risorse. 

Il calciatore professionista è certamente una persona sottoposta a pressioni emotive notevoli: da parte del coach, della società, dei compagni, dei tifosi, della stampa. Molto spesso è cresciuto lontano dalla famiglia e quasi sempre passa la vita professionale cambiando città di residenza e viaggiando mediamente ogni due settimane. Quei giocatori che manifestano qualità di resilienza minori, la capacità di resistere agli stimoli di adattamento alle situazioni, presentano un maggior rischio di depressione malgrado lo sport... anzi a causa dello sport. E questo è lo spunto di riflessione. Lo sport nasce per la salute, ci mette a confronto con i nostri limiti, fisici e mentali e ci permette di allenarci e confrontarci con essi. Spesso lo sport professionistico spinge l’atleta a superare questi limiti in nome del successo o del record e questo superamento è fattore di rischio per lo sviluppo della depressione.

In questa settimana, lo stesso sabato 10 ottobre, si è celebrata un’importante ricorrenza: 10 anni fa nasceva a Roma la realtà del Calciosociale. Un gruppo di ragazzi della Parrocchia di Nostra Signora di Coromoto decidevano di riscrivere le regole del calcio per riscrivere le regole della vita: ad arbitrare sono i capitani, un giocatore non può segnare più di tre gol a partita, le squadre sono miste, il rigore viene tirato dal calciatore di minor livello. Sono solo alcune delle regole speciali del torneo e il miracolo è che funziona: per chi lo pratica (io tra quelli) il Calciosociale non è solo un modello di gioco, ma diventa uno stile di vita improntato ai valori dell’accoglienza, della giustizia e dell’amore per se stessi e per l’altro, che viene visto come “dono”.

L’obiettivo, pienamente riuscito, era di creare un modello di società più giusto trasformando i campi di calcio in palestre di vita dove l’integrazione avviene quando le persone disagiate entrano a diretto contatto con gli altri. 

In questi 10 anni centinaia di persone hanno giocato al Calciosociale, a Roma ed in diverse parti d'Italia, combattendo la depressione, integrati con altri ragazzi ed adulti che hanno condiviso con loro gioie e sofferenze. Sono stati partecipi di un miracolo: il trionfo dei valori dello sport in una società che discrimina le persone con problemi di salute mentale negando loro i diritti più semplici... compreso quello a fare sport per la salute del corpo e della mente.

Mondi lontani il calcio professionistico e quello del Calciosociale: uno che genera stress e depressione e a volte passioni malate, l’altro che cura, integra e ci promette un futuro migliore... anzi una storia vincente ed un presente luminoso.

Capriolo, 25 e 26 luglio: intensa e bella la partecipazione ai momenti del saluto a don Nicola... grazie a quelli che hanno partecipato e a tutti coloro che hanno contribuito a rendere il tutto un vivace e profondo momento di vita comunitaria.


 

 

RIEPILOGO DEI GIORNI PRECEDENTI AL SALUTO

La Comunità saluta don Nicola Sabato 25 luglio alle ore 21 con una VEGLIA DI PREGHIERA e Domenica 26 luglio alle ore ore 10 con la santa MESSA in chiesa e, a seguire, aperitivo in oratorio.

 

Come ringraziare don Nicola

Sarà a disposizione in chiesa, un LIBRO su cui annotare pensieri o incollare disegni e fotografie che singoli o gruppi vogliono lasciare a don Nicola.

Non ci sarà una colletta organizzata; i SOLDI, raccolti brevi manu o depositati in chiesa nell’apposita cassetta, saranno destinati, su richiesta dell’interessato, al nuovo parco giochi dell’oratorio. Non sono perciò previsti regali particolari, salvo un semplice segno che rappresenti tutta la comunità capriolese.


Comunicato di sabato 6 e domenica 7 giugno 2015

Ho un annuncio che mi rincresce dare a tutta la nostra Comunità.

Nei giorni scorsi il Vicario Generale mi ha confermato che Don Nicola viene trasferito in altra parrocchia.

Molti pensieri si affastellano nella mente e nel cuore, nei suoi e nei nostri. Lo spazio principale sia per un “Caro don Nicola, un grande e affettuoso “GRAZIE!”. Poi riordineremo i pensieri e i sentimenti.

In obbedienza al Vescovo, per servire Gesù e la sua Chiesa, nove anni or sono, fresco di Ordinazione, don Nicola è arrivato a Capriolo. Ora, ancora in obbedienza al Vescovo, per servire Gesù e la sua Chiesa, “cresciuto in sapienza, età e grazia”, riceve l’incarico di vicario parrocchiale nell’erigenda Unità Pastorale di Villa, Carcina, Cailina e Cogozzo nella bassa Val Trompia. Lo attende un compito un po’ diverso da quello svolto tra noi, forse più complesso, sicuramente molto da inventare. Sono sicuro che anche lì si troverà bene e farà bene.

Per intanto continuerà il servizio negli impegni dell’estate con i nostri ragazzi e giovani.

Più avanti troveremo il tempo e i modi del saluto comunitario. Nel frattempo cresca la nostra preghiera per lui.


Antefatto. 28 giugno 2013 ore 8,15: “Don Agostino, hai un minuto? … Mi ha chiamato il Vicario generale…”.

Non c’è stato bisogno di tante parole per afferrare.

Forse, a fine giugno, mi illudevo del pericolo scampato. Sono rimasto a lungo in sospeso; ho chiesto ai superiori che valutassero uno spiraglio diverso. In quella e altre occasioni, per vie imponderabili al basso clero, sei rimasto tra noi; nondimeno ora viene il tempo del passaggio.

 

Caro don Nicola,

diventando prete, hai messo al centro Cristo e la Chiesa. Ritengo che non ci sia genuino commiato senza andare alla radice che ha originato l’impresa.

Obbedendo al Vescovo, hai messo a disposizione della nostra Comunità di Capriolo i tuoi primi nove anni di ministero. In mezzo a tante occupazioni e agitazioni che l’oratorio comporta, hai sempre segnalato che nostra forza e nostro punto di arrivo è Gesù. Grazie per questo modo di guardare, tanto antico e così nuovo, sempre necessario.

Hai combattuto tra noi, con noi e per noi la buona battaglia, anzitutto quella della fede e poi quella della responsabilità.

Se la prima non è scontata per nessuno, neppure per un prete, la seconda è pure impegnativa, costosa, ma bella nel dedicarsi giudiziosamente e con l’intento chiaro di aiutare ad assumersi responsabilità per la vita comune. Sono sicuro che non mancheranno i frutti. L’elenco dei vanti non ci si addice. Del resto, cosa consente di percepire la profondità di qualcosa all’apparenza scontato o banale?

Ritengo però necessario evocare, con un particolare grazie, il grande lavoro che ha comportato l’elaborazione del Progetto Educativo dell’Oratorio e per i passi applicativi da tempo intrapresi.

Ci sono nella vita del prete, anche di un giovane prete, dolori invisibili, non fisici, ma che segnano l’anima. Non penso alla crisi del settimo anno! Il desiderio di parlare e agire con umiltà e amore, senza protagonismi, porta a una lotta interiore e molto spesso a una fatica nelle relazioni e nell’opera educativa, a cominciare da chi è più vicino. Continua a gareggiare.

Insieme ai confratelli preti (penso anche a don Antonio, a don Mauro e a don Benvenuto) abbiamo praticato amicizia e corresponsabilità: in particolare a don Tomaso e a me, in atteggiamento di rispetto e franchezza, non è mancato l’appoggio necessario.

Si tratta ancora una volta di andare per servire. Per servire Gesù e la sua Chiesa. Per servire la vita di tanti, di tutti quelli che il Signore ti farà incontrare e amare. Soprattutto nella pastorale dei ragazzi e dei giovani: uno dei compiti più affascinanti e delicati della pastorale parrocchiale.

“Senza paura” insisteva Papa Francesco a Rio de Janeiro.

Te lo ripeto anch’io che qualche cambio pure l’ho fatto: se sto con Cristo, la vita fiorisce, persino il deserto. E quei legami che vengono strappati, diventano più ampie appartenenze.

E poiché siamo “come vasi d’argilla”, accetta l’impegno di preghiera che volentieri assumiamo per te affinché il “tesoro” possa essere sempre accessibile a chi ti incontra.

Certo di interpretare i sentimenti dei Capriolesi, ti abbraccio con affetto e stima

don Agostino


 

Sono già passati 10 anni da quel 13 marzo 2005, giorno di consegna alla popolazione del nostro bel oratorio ristrutturato. In quella mattina di sole, per strada ed in chiesa, dentro e fuori l’oratorio c’era festa e tanta allegria che contagiava tutti stampando sui visi un sorriso di gioia comune.

Quel edificio bello, nuovo, costato e faticosamente ottenuto - era li imponente all’ombra della chiesa - pronto a ricevere e dare accoglienza allora, come adesso e come già aveva fatto a tutte le generazioni di ragazzi e non, che varcano la sua soglia.

E’ un istituzione – l’edificio oratoriale - guardando al calendario dei servizi resi alla popolazione ed il numero delle persone che gli gravitano intorno può confermare la decisione presa 10 anni fa di ristrutturare l’esistente, rendendolo bello e sicuro.

Le norme di sicurezza furono tra i punti di forza per incoraggiare la decisione a favore della ristrutturazione, ma non meno importante e difficile fu ed è tuttora l’organizzazione oratoriale.

Le molteplici difficoltà nel portarla avanti a volte fa pensare ad una azienda; costi, entrate, personale mancante, far quadrare il tutto; in realtà è una grande famiglia e di conseguenza deve curare i complessi aspetti umani sia per fasce di età - l’oratorio ha un po’ cambiato faccia- troviamo i ragazzi, ma anche i nonni, le famiglie, piange molto la fascia dei giovani ed è una realtà evidente.

Le attività svolte in oratorio sia di animazione che sono molteplici, che di formazione a tutti i livelli (genitori ICFR – ragazzi catechismo, serate di Sila per adulti e via dicendo) comprendono la vita intera della comunità.

E’ importante nella vita oratoriale non mollare nei momenti di stanchezza, nelle fasi di crisi sociale, morale religiosa ed educativa perché questo edificio e chiaramente le persone che vi abitano – portando la Parola del Vangelo concretizzata –sono un deterrente ai problemi dei singoli, delle famiglie nella solitudine, nelle fragilità . . perciò niente giustifica lo scoraggiamento, che a volte fa capolino nella routine organizzativa.

La paziente perseveranza di alcuni – che non colma i vuoti di presenza di altri – permette di vigilare sui nostri ragazzi, ma non basta, bisogna che si sentano amati; anche le famiglie ben accette e così collocate bene in questo contesto, mancano di quel tono di adesione non misurato, spontaneo e di slancio generoso che lo Spirito della famiglia dovrebbe avere.

La collaborazione verace e sincera e la disponibilità di tutti creano insieme un ambiente che forma, dando la capacità di educare e testimoniare i valori Cristiani e la passione per la vita.

 

C. e D.


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Incontro con l’Arcivescovo di Agrigento S.E. mons. Francesco Montenegro. Attualmente è presidente della commissione episcopale per le migrazioni e presidente della fondazione “Migrantes”. Dal 2003 al 2008 è stato presidente della Caritas Italiana.

All’incontro partecipa anche don Carmelo Petrone direttore de “l’amico del popolo” settimanale diocesano di Agrigento

Moderatore dell’incontro: don Adriano Bianchi direttore del centro diocesano di Brescia per le comunicazioni sociali