VERSO LA FESTA DELLA MAMMA: “MAMMA, LA PAROLA PIÙ BELLA”

 

Nonostante il tentativo di cancellare le parole mamma e papà, esse restano preziose nella vita d’ogni persona

«La parola più bella sulle labbra del genere umano è “Madre”, e la più bella invocazione è “Madre mia”. Ogni cosa in natura parla della madre».

Sarebbe stato bello trovare scritti i versi di questa poesia di Gibran Khalil Gibran sull’opuscolo delle raccomandazioni della British Medical Association. Invece, tra le righe di quelle note comportamentali non v’è traccia di sentimenti bensì di un’indicazione solo all’apparenza strana: a tutti gli associati si raccomanda di definire le gestanti non più madri in attesa, ma persone in gravidanza. Insomma, nessuno spazio alle mamme in ricette, referti e documenti sanitari: per evitare qualsivoglia tipo di discriminazione nei riguardi dei transgender si sollecita il ricorso ad una terminologia neutra, col risultato di discriminare le madri, ridotte ad esseri indeterminati. Sembra avverarsi lo scenario dello scrittore Aldous Huxley, pure lui britannico, che nel 1932, nel suo romanzo “Un mondo nuovo”, descriveva un mondo futuro abitato da fanciulli prodotti in fabbriche, imbottigliati su catene di montaggio.

Era uno scenario volutamente e sarcasticamente fantascientifico, che oggi sembra avverarsi: padri e madri sono ridotti a dati culturali, dunque modificabili, come dimostra lo spazio conquistato dall’idea di relazioni fondate sulla rimozione della naturale ed essenziale differenza fertile, che invece è indispensabile nella partita della vita. Anche in termini giuridici una prospettiva contraria ai diritti umani, in contrasto con le Carte internazionali che, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, citano la famiglia quale «nucleo naturale e fondamentale della società» e riconoscono che la «maternità è una funzione sociale».

È l’avanzata di un conservatorismo antimoderno. Bonificare, eliminare: un’ansia purificatrice avvolge le nostre città come un blob gelatinoso che tutto appiattisce. Si propone di cancellare la traccia del primo contatto tra il nascituro ed i suoi genitori, segnata da numeri che mirano a dissimulare le loro specificità affettive.

C’è una sorta di cupio dissolvi nel voler cancellare quelle parole bellissime, mamma e papà, che restano preziose nella vita d’ogni persona. Difenderle non vuol dire far ricorso ad uno strumento di offesa: per ognuno, per ogni persona, c’è e deve esserci sempre rispetto, accoglienza e solidarietà. Semplicemente si intende chiarire che, come dice Papa Francesco, è la famiglia il vero, straordinario «motore del mondo e della storia», il modello di relazioni fondate sull’amore e sulla capacità di generare. Questa realtà non può essere cancellata dal dizionario degli affetti e per svelare il nonsenso di tante incursioni lessicali basta rileggere, di Gianni Rodari, la “Filastrocca delle parole”:

«Si faccia avanti chi ne vuole.

Di parole ho la testa piena,

come dentro “la luna” e “la balena”.

Ma le più belle che ho nel cuore,

le sento battere: “mamma”, “amore”».

(Mons. Bertolone, da it.zenit.org 23-04-2017)

 

Articolo pubblicato il 09/05/2017