Il nostro Vescovo Luciano Monari sulle unioni civili: Avanti o indietro?
Editoriale del n° 2 "La Voce del Popolo", settimanale diocesano
Quando ci si sposa, ci si scambiano una serie di diritti e di doveri. Questo è chiarissimo nella celebrazione religiosa: “Io accolgo te come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Pronunciando queste parole, una persona si assume una serie illimitata di doveri che acquisteranno una figura precisa nel corso della vita matrimoniale, man mano che le circostanze metteranno le persone davanti alla gioia o al dolore, alla salute o alla malattia… Nello stesso tempo, poiché la medesima formula viene pronunciata anche dall’altra persona, ciascuno riceve il dono (il diritto) dell’impegno dell’altro. Siamo quindi davanti a una esperienza di reciprocità. Ciò significa che accanto all’esistenza delle due singole persone (l’io e il tu) prende corpo una formazione nuova (il noi) nella quale l’esistenza delle due persone si intreccia e viene a costituire una forma nuova che non è solo l’accostamento di due vite (a, b) o la loro somma (a+b) ma qualcosa di inedito (ab).
Il figlio, quando nasce, ne è l’espressione più chiara perché il suo patrimonio genetico, pur provenendo dal padre e dalla madre, è del tutto originale. Quando si chiede il riconoscimento civile dell’unione di fatto, ciò che è in gioco sono essenzialmente dei diritti. La coppia di fatto chiede allo stato di riconoscerle un certo numero di vantaggi che fino ad oggi erano riservati alla famiglia: reversibilità della pensione, diritto all’eredità, diritto ad adottare dei bambini... A questi diritti non corrispondono dei doveri codificati; ciascun componente della coppia può lasciare il partner solo che lo desideri senza dover giustificare la sua scelta perché non ha assunto dei doveri nei confronti della collettività. La convivenza rimane solamente un “fatto”, non diventa un valore sociale. Questa modalità di rapporto è notevolmente più moderna del matrimonio e risponde meglio al modello attuale di produzione. Proprio perché i vincoli di coppia sono meno rigidi che in una famiglia, la disponibilità alle esigenze del lavoro è più grande. Un passo avanti, quindi? Temo di no.
La società civile è chiamata a garantire ai suoi componenti il maggior numero di opportunità concrete di realizzazione di sé. Ma la società nasce solo quando i singoli rinunciano ad alcuni spazi di realizzazione personale e permettono, in questo modo, la creazione di uno spazio comune di vita nel quale ‘si gioca’ con regole comuni. Solo così nascono un’economia avanzata, il commercio, la scuola. Il riconoscimento legale delle unioni civili va in direzione opposta rispetto alla creazione di una società più coesa e sicura. Probabilmente produrremo di più ma saremo più insicuri, più soli, meno capaci di sacrificarci per il bene di tutti. Abbiamo creato una società frammentata, fatta di una molteplicità di “io” separati; poi la frammentazione è diventata così profonda che si può parlare di una società liquida; se continuiamo nella stessa direzione la prossima tappa sarà una società gassosa; o no?
Articolo pubblicato il 17/01/2016
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